“Cosa ti devo raccontare?-mi domanda Maria mentre la inquadro con il mio iPhone dentro il suo laboratorio di pasticceria, fra pentole imbrattate di cioccolato fuso e le sue mitiche “Genovesi” che cuociono in forno annebbiandomi i sensi.
“La pasticceria è la mia vita.”
Così mi ha risposto a 84 anni una delle più grandi pasticcere della storia italiana: si chiama Maria Grammatico ed è una di quelle donne che non ti scordi; ti colpisce il suo acume, la sua capacità di capire chi ha davanti, il suo talento di cogliere dettagli oltre quello che appare, mirando al profondo, quasi affondasse un cucchiaino nella crema pasticcera e ne testasse la consistenza.
Una vita non certo facile la sua: Maria entra nel convento di San Carlo a Erice, a 11 anni, e ci rimane per 15.
Spia segretamente le antiche ricette della tradizione conventuale ericina, quelle che solo le suore conoscevano e custodivano gelosamente.
Lei le “ruba con gli occhi” osservandole da una botola segreta aperta sulla cucina del convento.
Esce dal convento a 26 anni e un mestiere per guadagnarsi da vivere intanto lo ha imparato: è una pasticcera provetta e conosce a memoria tutte le ricette delle suore, ricette di dolci antichi, frutto di tradizioni millenarie, raffinate e non di facile realizzazione.
Maria non si sposa, donna ribelle e indipendente, si dedica anima e corpo alla pasticceria, chiusa ore e ore nel suo laboratorio per realizzare minuziosamente dolci la cui fama in breve tempo non conosce confini.
Genovesi, Cassate, Cannoli, e un’infinità di varianti di pasta di mandorla sono il suo regno, usando materia prima di qualità sublime che lei sa mixare come una maga: nella sua fucina creativa spuntano cedri, mandorle, canditi, pan di spagna imbevuti di rosolio, liquori di erbe, conserve di cedro, creme e ricotte, gli ingredienti di un paradiso terreno.
I suoi dolci che riempiono vetrine e mobili d’epoca, sono vita che palpita, profumano di cuore antico, parlano di amore, dedizione e immensa bontà.
Quando ho mangiato la sua più iconica creazione, “la Genovese”, la tenerezza di una crema pasticcera non mi aveva ancora trafitto il cuore di struggente nostalgia per la mia infanzia.
Spezzo la genovese, una "semplice" pasta frolla ripiena di crema pasticcera e rimango attonita.
Quel profumo di crema pasticcera non l'avevo più sentita, e per quanto l'abbia cercata non l’ho più trovata in nessuna parte del mondo; quell’odore e quel gusto erano sigillate dentro il cassetto della mia memoria di bambina irrequieta che si poteva domare con la dolcezza di una crema morbida come una carezza e profumata di bontà.
Quale il suo segreto? Nessuno, eppure è unica.
Assaggio anche la pasta di mandorle: è carnosa, un tripudio di mandorle pure, con croste fragranti e profumate di limone, arancio, cedro, pistacchio.
Provo una gioia piena, appagante, ad ogni pasticcino.
Il dolce è diventato il ponte fra passato, presente e futuro.
Nulla è perduto, la dolcezza struggente e nostalgica del passato l’ho recuperata, torno alla realtà ma con una certezza.
Erice e Maria saranno sempre lì, ad aspettarmi per ricordarmi che la pasticceria è vita e ti cambia la vita e che il tempo e il suo segreto stanno proprio lì, fra bocconi di mandorle e pezzi di paradiso alla crema.