Prendo a prestito una citazione da Jean Jaurès secondo cui "La tradizione non consiste nel conservare le ceneri, ma nel mantenere viva una fiamma".
La tradizione in pasticceria per me è sacrosanta, e quando i grandi classici, in questo caso della tradizione bolognese, riescono con il loro patrimonio di storia e tradizione, a riaccendere la fiamma della curiosità, sono un patrimonio per l'umanità.
Sto parlando di tre pietre miliari della dolce tradizione bolognese: Latte in piedi, zuppa inglese e torta di riso, celebrati e mangiati al ristorante Al cambio di Bologna, custode della tradizione anche nei dolci.
Potrei parlarvi delle ricette di queste tre chicche, di Matteo Poggi in cucina che è degno figlio di suo padre, Max Poggi, una delle grandi stelle sempre splendenti della ristorazione bolognese e nazionale, oppure di Piero Pompili che serve in sala felicità ad ogni piatto, in impeccabile doppiopetto e con il suo inconfondibile savoir faire.
Ma non vi dirò nulla di tutto ciò, perchè la mia è condivisione di una pasticceria emozionale e mai tecnica, quando la pasticceria emoziona davvero.
Il latte in piedi, simile per consistenza a una panna cotta, mi ha restituito forza e solidità: lui sta in piedi sul tuo cucchiaino e non cade mai; in un mondo in cui tutto fluttua e non da certezze, il segreto di tanta solidità e bontà sta nella quantità di rossi d'uovo, uniti al latte condensato e allo zucchero.
"Il dolce delle nonne" che rendevano felici i bambini e risparmiavano di lavare i loro grembiulini e bavaglini che non si sporcavano, tanto il latte non cadeva dal cucchiaino!
La zuppa inglese mi ha donato fluidità e morbidezza per sciogliere ogni rigidità, per ammorbidire ogni contrattura emotiva: pan di spagna imbevuto di alchermes a cui si alternano strati di crema pasticciera soave.
Il cioccolato è uno sciroppo fluido che viene versato sulla zuppa, perchè la vera ricetta non ha crema al cioccolato.
Per finire, la torta di riso, lei, "la torta degli addobbi", il dolce che celebrava la grande festa del corpus domini in cui i palazzi si vestivano a festa, addobbati per l'evento, e nelle case si gustava questa perla, la cui ricetta risale al 1470.
Il suo sapore prezioso di mandorle e cedro mi ha predisposto a qualcosa di bello, di importante che avverrà, quasi un monito a riconoscere la preziosità della vita e insieme un presagio di "luccicanza".
Amo follemente i dolci: sono il ritratto emozionale di ciò che siamo, tracciano mappe di memoria, ma sono anche la previsione "astrologica" di ciò che avremo, quando passato, presente e futuro si saranno riconciliati armonicamente in noi come un perfetto dolce della tradizione.